Il trolley come categoria mentale

La mattina presto ha luce inusuale, strade pulite, silenzio. In certe stagioni il freddo, che io adoro, è persino un regalo. D’estate l’aria è ancora generosa concedendo tregue deliziose. Non oggi che il sole, appena sorto, era già caldo, calato appieno nel proprio ruolo di scatenato fuochista.

In stazione due ragazzi hanno perso il treno arrivato puntale. L’hanno visto sfilare con un’imprecazione morbida,  che non ha fatto vacillare l’estathè che tenevano fra le dita. Come dire che le soste, a volte, tradiscono, e che lo stomaco conosce ragioni che la ragione non comprende. L’odore delle brioche ha compensato l’edicola ancora chiusa. Niente, per uno con i miei trascorsi, è più magico dell’odore dei giornali  freschi di stampa, allineati come uccelli  sul filo e pronti dispiegare le loro ali all’abbraccio di chi li sceglie.

Sono ritornato in centro un po’ sottotraccia. Succede, quando un treno che parte mi porta via qualcosa.

Il caldo ormai aveva scardinato le difese e in pochi minuti, rispetto a prima, era diventata un’altra città: ancora addormentata e silenziosa, ma già rovente e pronta al vortice faticoso delle domeniche d’estate.

Serrande chiuse, nessuna auto, silenzio. Per strada c’eravamo solo io e qualche clochard. Uomini e donne. Un numero inaspettato. Quasi frenetici. In questa città silenziosa erano gli unici a muoversi e a farlo con una meta concreta. Tutti, questo mi ha davvero colpito, con il trolley e le loro ombre di casa adagiate sopra.

Per un attimo ho sovrapposto le immagini dei viaggiatori della stazione di poco prima a quelle dei clochard e non sapevo se siamo tutti diventati viaggiatori o è tutto una grande stazione. Chissà!

Siamo tutti in viaggio. Siamo diventati viaggiatori anche se non andiamo da nessuna parte. E chi viaggia, sovente non si allontana.

Meglio che non esca più di mattina presto. La notte mi muove pensieri diversi.  Comunque pare che il trolley sia davvero una invenzione irrinunciabile…

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